2018, Il Foglio, pp. 70
Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio è il diario intimo di Franco alla riscoperta dell’amico perduto – ricoverato in una stanza d’ospedale – e una ricognizione amara, talvolta struggente, sul senso della vita, sulla memoria, sul presente, ma è soprattutto il momento in cui il filo che aveva legato le vite di Gualtiero Jacopetti e di Franco Prosperi torna a riannodarsi, quando il futuro è ormai ipotecato dalla morte.
VOCI
«Ma è la distanza dagli avvenimenti, il tempo, il vero protagonista di Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio. Gualtiero e Franco si rincontrano dopo diversi anni in una stanza di ospedale. Non si erano più parlati per divergenze economiche dall’ultimo film — Mondo candido, appunto — realizzato insieme. Tra le risate, commoventi e mai rassegnate dei due ritrovati amici, c’è un ricordo, una frase, che un po’ sintetizza il cinema di Jacopetti e Prosperi. ‘Ma ti ricordi cosa ci disse Vittorio Gassman all’uscita dal cinema Fiamma, dopo l’anteprima di Africa addio? Che c’eravamo suicidati politicamente’.»
«In vita Gualtiero Jacopetti (1919-2011) è stato oggetto di molti pregiudizi, ma da morto corre un rischio pure maggiore: quello dell’oblio immeritato. La persona più titolata a parlare di lui è Franco Prosperi, col quale ha condiviso l’esperienza di Mondo cane e Africa addio, all’insegna del trionfo di pubblico e degli sputi in faccia della critica «ufficiale», che non tollerava il loro anticonformismo (…). Il libro Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio, scritto da Prosperi con Stefano Loparco, è il resoconto di una amicizia ritrovata fra due persone che al di là della lontananza fisica, non si erano mai separate per davvero (…). Mantenendo fede a una promessa fattagli nelle ultime ore, Jacopetti a tutt’oggi vive nelle «stanze della memoria» di Prosperi. Continuano, entrambi, a credere che il mondo non sia poi così cane, ma solo perché i cani meritano ben altro rispetto.»
«Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio è un viaggio a due tra i ricordi, nudo e toccante, scritto senza velleità letterarie di sorta, toccata e fuga tra paradossi e luoghi comuni culturali dell’Italia anni sessanta e settanta, si trasforma lentamente in una sorta di safari esistenziale, tra fantasmi e illusioni, dove l’unica cosa che davvero conta continua a scivolare e sfuggire, alla macchina da presa come alla macchina da scrivere.»