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2019, Gremese, pp. 140

Con un paese squassato dalla contestazione giovanile e operaia, quando i temi terzomondisti e le marginalità vanno imponendosi presso larghi strati dell’opinione pubblica, mentre il ’68 annuncia la nascita di un altro mondo possibile, l’indole canaglia di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi deflagra nel più esorbitante esperimento della loro cinematografia: Addio zio Tom. Un viaggio a ritroso nel tempo per mostrare al pubblico il vero volto della schiavitù, contro il politically correct, il razzismo all’incontrario, la critica prezzolata, l’opportunismo (e il buon senso).

«La violenza? C’è, è parte della vita, come la morte. Con Addio zio Tom abbiamo inteso mostrare la crudeltà di un sistema sociale istituzionalizzato. Lo abbiamo fatto senza censure, con l’unico scopo di mostrare il vero».

Loparco torna sui luoghi e negli anni in cui il film è stato girato (Louisiana, Haiti, Florida/1968-1970) e attraverso le testimonianze di Franco Prosperi (co-regista), Giampaolo Lomi (organizzatore generale), Marcello Tranchini (direttore di produzione), Kathryn Snedeker (costumista e compagna dell’epoca di Jacopetti), Marina Cicogna (produttrice del film),  Enrico Lucherini (press agent), le dichiarazioni inedite di Carlo Gregoretti e Riz Ortolani e il contributo di Luca Martera, spiega al lettore perché Addio zio Tom è un film altamente improbabile, accaduto in quel lontano 1971 sulla forza negoziale del suo autore più controverso ma irripetibile nel sistema dei media di ogni tempo.

VOCI

«Mi verrebbe da dire che si tratta di un lavoro stupefacente, Addio zio Tom, ma non ho provato in realtà alcuna sorpresa leggendolo perchè già avevo avuto modo di conoscere la qualità della scrittura di Loparco e qui l’ho ritrovata alla sua ennesima potenza. Il prologo, l’analisi e l’epilogo sono come tre movimenti musicali, ognuno col proprio ritmo, ma perfettamente saldati nel loro incedere travolgente. Il prologo rispecchia la capacità dell’autore di trasportare i fatti storici e il dietro le quinte in un racconto dal respiro romanzesco; l’analisi – così ardua da organizzare per un film del genere – è densa e illuminante; l’epilogo, con quella sua forma di processo, solleva tutti i dubbi su una pellicola ingiustamente rimossa, ma non esente da difetti (anche di confezionamento, come ben noti in merito al doppiaggio). Un film alieno eppure calato nel suo tempo. E che grande intuizione il raffronto/differenza con L’albero degli zoccoli. Alla fine Loparco riesce a far emergere quella che è la grande forza espressiva di Addio Zio Tom, la sua importanza (ben esemplificata da Martera), la sua inopportunità, per citare un termine che utilizza con ragione. Non era facile dire la parola fine su Addio Zio Tom, ma è stato fatto».
Simone Scafidi

«Con rigorosa fedeltà Stefano Loparco deframmenta, ricostruisce e racconta il genere più controverso del cinema italiano, il mondo movie, con le sue lacerazioni carnali e le brutalità selvagge che tanto diedero scalpore scatenando l’ira funesta (e la scure) della censura. L’autore riporta alla luce l’obnubilato Addio Zio Tom e le sue stigmate schiaviste, prelevando il film dall’oscurantismo mediatico, dal baratro della damnatio memorie, per sviscerarlo in modo lucido e senza distorsioni con un intervento di estrema sensibilità e chirurgica riedificazione della storia. Un percorso di rivalutazione che preleva l’opera di Jacopetti e Prosperi dal tugurio dell’oblio per restituirle il giusto trattamento. Loparco firma un testo pancronico in sintonia con l’oggetto della sua analisi, doverosa e necessaria, destinata a cancellare definitivamente il concetto di “rimozione” nel cinema di genere. Perché Addio zio Tom è un tesoro autentico che, nell’epoca odierna della post-verità, merita di essere riscoperto».
Andrea Rurali