I libri che mi stupiscono maggiormente sono quelli su temi e personaggi che mi hanno sempre lasciato piuttosto distante. Quelli che affronto quasi con sufficienza e poi mi coinvolgono inaspettatamente.
Chi parla bene di Gualtiero Jacopetti generalmente precisa :’pur non provando alcuna simpatia per l’uomo, devo dire che…’.
Un formula così protettiva si fa fatica a ignorarla, quindi devo premettere anch’io di non provare tanta simpatia per l’uomo Jacopetti. O almeno per il ritratto che leggenda e storia hanno dato di lui.
Vicino ad Almirante, tra i primi sostenitori (forse per opportunismo) di Berlusconi, spietato detrattore dei regimi comunisti quanto più lieve nei confronti di quelli destrorsi, è tutto tranne che portatore di un pensiero a me vicino. Ma soprattutto la diffidenza che sento nei suoi confronti è dovuta alla maniera discutibile con la quale è riuscito a salvarsi da condanne per crimini sessuali, realmente commessi o figli di complotti che fossero. Una via di fuga non molto onorevole per un uomo che ha spesso criticato i costumi altrui.
E su Jacopetti avevo comunque già letto e visto molto.
Dai fondamentali pezzi del sempre pionieristico Nocturno Cinema fino al film “L’importanza di essere scomodo”, passando per i partecipi ed esaustivi lavori di Federico Caddeo.
Non mi aspettavo quindi che Stefano Loparco riuscisse a dire qualcosa di nuovo col suo Graffi sul mondo – Gualtiero Jacopetti, e invece la lettura del suo libro mi ha intrigato dalla prima all’ultima riga.
Mi sembra che la sua scrittura abbia una qualità indiscutibile, ovvero è molto ragionata ma poi sgorga con estrema naturalezza, rendendo il lettore partecipe di un percorso ricco, ma mai cervellotico.
Un altro merito è quello della costruzione narrativa: sia per il fatto di affrontare il corpus filmico di Jacopetti solo dopo averne raccontato la vita, sia per le molteplici appendici che rendono il libro impossibile a chiudersi, a esaurirsi. Come il cinema di Jacopetti, che continua ad essere inclassificabile.
Le testimonianze sono tutte molto intense e sensate e la scrittura riesce a bilanciare certi entusiasmi un po’ partigiani delle voci amiche con un punto di vista personale, ma equilibrato. Penso al capitolo nel quale si affronta l’accusa mossa a Jacopetti di aver dato forma ad un cinema fascista, che viene trattata in modo molto intelligente.
Al di là degli uomini e dei giudizi sulla loro vita, restano le opere.
E Jacopetti, con il fondamentale aiuto di Prosperi e all’inizio di Cavara, è un uomo che ha inventato un tipo di cinema. E non sono poi in molti quelli che hanno dato inizio a qualcosa.
Pur non essendo un grande estimatore del Mondo Movie, a 50 anni dalla sua uscita un film come “Africa Addio” continua a sembrarmi inafferrabile.
Un poema astuto quanto commovente, una visione personale che piega la realtà alla propria intima interpretazione. Una macchina cinematografica che lascia a bocca aperta per le scelte stilistiche e per la riuscita formale.
E poi continuo a chiedermi quali rapporti possibili ci siano tra i lavori di Jacopetti e i recenti successi (di critica, mentre quelli di Jacopetti erano soprattutto di pubblico) del nostro cinema del reale.
In fondo anche oggi, seppure mossi da ispirazioni differenti, ci sono registi che in maniera spregiudicata maneggiano il reale e lo riplasmano con un accurato, controllato (ed applaudito) estetismo formale.
Simone Scafidi – regista