Edwige – Al di là dal bene e dal male

ty1Poliziotta, dottoressa, pretora, ma anche tassista, moglie vergine e nonna da ringraziare; mille personaggi, una sola maschera: quella di Edwige Fenech, la regina delle docce, la prima maschera erotica del cinema italiano. Icona nuda in perenne ammollo sotto le refrigeranti acque di una doccia, presa d’assalto da frotte di spasimanti di ogni età e ceto sociale; colorata quanto una serigrafia di Warhol, scatologica quanto un fumetto per camionisti, ma soprattutto bella quanto una venere botticelliana; il suo corpo, indissolubilmente legato ai sogni erotici degli italiani e la sua carriera in costante ascesa. Per tutti lei è Edwige Fenech, la diva nuda, l’attrice «meglio pagata e meno impegnata del cinema italiano». Il pubblico riempie le sale, i paparazzi la inseguono, i registi le fanno la corte, i colleghi sono entusiasti. A un Gino Pagnani che dice «ancora mi vengono i brividi […] era talmente bella che sembrava di porcellana», gli fa eco Enrico Montesano che la ricorda «dotata di una bellezza infinita», mentre Don Backy, suo partner in Quando le donne si chiamavano madonne, ammette candido «m’imbracarono per paura di qualche elevazione di troppo» dato il suo «fisico statuario e sodo come un marmo carrarino». Tormentato, invece, il ricordo di Osvaldo Civirani, che l’ha diretta in Le Mans – scorciatoia per l’inferno e che dal suo libro di memorie scrive: «Edwige è una donna pericolosa, l’avevo capito subito vedendola in un paio di film, perché eroticamente aggressiva, con un’infinità sensualità. Sicuramente imbarcarsi con lei significava perdere la testa. E quando l’ebbi nelle ‘mie mani’ come attrice confermai il giudizio» .
Di commenti così ce ne sono a bizzeffe. Tutti rimangono turbati dall’enorme carica erotica dell’attrice «da far venire il mal di testa con quel corpo meraviglioso», come ha ricordato Alvaro Vitali.
Anche la critica, tornata a più miti consigli, sembra fare marcia indietro. La stroncatura del film cui lei partecipa è ormai cosa certa, ma il corpo di Edwige, quello no! La tesi comune è: «Il film è da buttare, ma Edwige…». E così, nelle recensioni dell’epoca si può leggere: «[…] la bellissima Edwige Fenech è la vedova inconsolabile, ma sempre pronta a consolare gli spettatori con l’esposizione delle sue apprezzabilissime forme […]» (Vice, Il Messaggero, 28/09/1973, La vedova inconsolabile ringrazia quanti la consolarono; «[…] Edwige Fenech merita ogni indulgenza per la generosità con cui mostra il suo splendido corpo […]» (Vice, Il Messaggero, 7/12/1973, Anna… quel particolare piacere); «[…] di pregevole c’è senz’altro lo splendido corpo di Edwige Fenech, affiancata dal sempre simpatico Vittorio Caprioli» (Vice, Il Messaggero, 24.03.1974, Innocenza e turbamento); «[…] per cui ecco tutta una serie di situazioni ora piccanti ora umoristiche su cui si articola la vicenda che Franco Martinelli ha narrato con mestiere cercando di divertire la platea, ma riuscendo soprattutto ad interessarla prospettando a getto continuo le grazie, più o meno scoperte della splendida Edwige Fenech, peraltro, quanto mai immedesimata nel ruolo […]» (Cer, Il Messaggero, 18/05/1975, Grazie… nonna).
Con la seconda metà del decennio, qualcuno arrischia pure: «[…] Edwige Fenech, non più lussuosa bambola sempre pronta a gettar le sot-tane, bensì attrice umorosa e gaia.» (Giorgio Napoli, Il Giornale di Sicilia, 29/10/1976, Cattivi pensieri), «Brava quanto bella la Fenech» (Cer, Il Messaggero, 10.3.1978, L’insegnante va in collegio), «[…] tra le più simpatiche ed attraenti dive del nostro cinema» (Cer, Il Messaggero, 26/8/1978, La soldatessa alle grandi manovre), «[…] sempre splendida Edwige Fenech stavolta, però, autenticamente attrice e con innegabile padronanza» (Cer, Il Messaggero, 20/11/1979, La patata bollente).
Negli anni a seguire un solo aggettivo, fulmineo quanto una stilettata, sarà l’artificio linguistico escogitato dalla critica che crede così d’avere svelato l’inesplicabile mistero del suo fascino: «La statuaria Fenech» (Leonardo Autera), «La fulva Edwige» (Giovanna Grassi), «La vaporosa Edwige» (Antonio Mazza), «La fulgida Edwige Fenech» (Morando Morandini), «Il candore opalescente delle nudità della Fenech» (Giuseppe Turroni), fino a giungere, nella penna di Morando Morandini, a quell’aforisma che li compendia tutti: «Edwige Fenech, attrice, per definizione, al di là dal bene e dal male».

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Il Corpo dei Settanta – Il corpo, l’immagine e la maschera di Edwige Fenech (Ed. Il Foglio)

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