S’intitola Laura Morante – In punta di piedi l’ultimo libro di Stefano Iachetti per le Edizioni Sabinae in collaborazione con la Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia. Con i contributi, tra gli altri, di Carlo Verdone, Gianni Amelio, Elisabetta Sgarbi, Pupi Avati e Michele Placido (manca Nanni Moretti che nella circostanza – racconta l’autore nella prefazione – fa dire alla segretaria che «non avrebbe trovato il tempo di parlare» del soggetto biografato) ma la firma in calce al progetto è quella dell’autore romano, segno di accuratezza, mai banale. Qualche anno fa era stata la volta di Asia Argento: la strega rossa (2014) ora è, appunto, Laura Morante – in punta di piedi, donne e carriere con più di sei gradi di separazione, non fosse per quel tratto inquieto della personalità che le accomuna e nel cui solco l’autore sembra voler avviare le proprie indagini. E par di vederlo in scrittura, Stefano, arrovellarsi alla ricerca della migliore sintassi insidiato dalla fascinazione senza tempo di Morante (il testo è corredato da una galleria di foto inedite, spesso di bellezza impraticabile). Par di vederlo durante le sessioni di intervista rievocare la parentela con la grande zia Elsa – sorella del padre –, poi la danza bimbetta, il teatro con Carmelo Bene, il cinema da Bernardo Bertolucci in poi e il grande successo. Tutto d’un fiato: Colpire al cuore (1982) di Gianni Amelio, Bianca (1983) e La stanza del figlio (2001) di Nanni Moretti, Turné (1990) di Gabriele Salvatores, Ferie d’agosto (1996) di Paolo Virzì, Ricordati di me (2003) di Gabriele Muccino, L’amore è eterno fin che dura (2004) di Carlo Verdone, fino all’esordio alla regia con le commedie romantiche Ciliegine (2012) e Assolo (2016). Laura non nasconde nulla: amori, passioni e psicanalisi. Eppure l’indagine avanza. Le si chiede conto della sua timidezza, delle scelte artistiche – e del perché di un film ‘scandaloso’ come Lo sguardo dell’altro (1997) di Vicente Aranda –, degli amori, degli ex compagni, dei figli, della spiritualità (la religione no, è atea), della letteratura, delle arti in genere in un discorso che abbandona presto il canovaccio della biografia convenzionale per farsi racconto intimo. Stefano annota tutto e quando è tempo di approdare in libreria, consegna al lettore l’immagine di un’artista anticonvenzionale – spigolosa, cerebrale, vulnerabile –, né musa («la convinzione di essere belli viene da piccoli, io non ce l’ho mai avuta»), né diva («non sapevo fare niente […]. Ho avuto il torto di non aver preso sul serio il mio mestiere per molto tempo […]. Dopo negli anni ho fatto anche buone cose») perché in fondo – è l’attrice a spiegarlo – «il cinema è un meraviglioso inganno» ma «nulla è all’altezza dei grandi libri». Così Laura dice di sé. Con compostezza. Ma quando la parola passa di bocca in bocca, il fenomeno Morante si fa impetuoso com’era giusto dire: «la prima volta che l’ho vista ne sono rimasto folgorato. Aveva un che di androgino e si muoveva in modo selvatico» (Gianni Amelio); «non credo di aver mai visto una faccia bella come la sua» (Liliana Nerli Taviani), «l’attrice più femminile del cinema italiano» (Michele Placido); una donna «insicura» (Carlo Verdone), «guardinga» (Peter Del Monte), «non facile» (Daniele Costantini), eppure bella, colta, elegante. E di talento.
Così Stefano racconta Laura in centosettanta pagine. La sua passione per l’interprete toscana – dichiarata apertamente nel libro – non fa apparire In punta di piedi parziale o manchevole. Semmai è l’oggettività che l’autore va cercando. Perciò le tante testimonianze, gli articoli dell’epoca e il ricco apparato iconografico, perciò i tanti perché – alcuni davvero non facili – che qui trovano risposta, perciò il senso di una scrittura empatica che attraverso l’arte ritorna alla persona. Perché il cinema è sì un magnifico inganno. Poi resta Laura, il suo stare al mondo. Oggi come allora: in punta di piedi.
Stefano Loparco