Quel giorno mi ero messo in testa d’intervistarlo per il mio libro su Klaus Kinski – Del Paganini e dei capricci -, ma non avevo il cellulare. Però potevo contare su quello di un suo amico che mi aveva dato Gerardo Di Cola. L’avevo chiamato, non l’aveva; mi aveva dato quello di un altro amico. Che l’aveva. E così quel pomeriggio, dopo aver ‘parlato’ con Tom Hanks e Brad Pitt – perché gli amici di Sergio per mestiere parlano così -, l’avevo finalmente raggiunto nella sua casa romana. Una telefonata cordiale, una mezz’ora buona. Eppure… eppure la sua voce non mi diceva nulla; non esercitava su di me alcun fascino, nulla di quanto avevo ascoltato in Nosferatu – Principe della notte. In carriera era stato Donald Sutherland, Peter O’Toole, il prof. Farnsworth di Futurama e tantissimi altri ma a ma appariva solo la voce di un signore avanti con l’età. Mentre la telefonata volgeva al termine, gli ho chiesto un ricordo sulle sessioni di doppiaggio del film di Herzog e com’era stata ‘costruita’ la voce del vampiro, su quale codice interpretativo. Ricordo che Sergio – che all’epoca era anche direttore del doppiaggio – parlava spedito, spesso rideva. Ma al ricordo del redivivo – la sua angoscia terrena, la fame d’amore -, ha allentato il ritmo, la voce s’è fatta profonda, in gravitas e io… io mi sono trovato a parlare con Nosferatu, era lui. Brividi. Quelli di sempre. Ti ricorderò Sergio Graziani. Mandi.
Foto: Premio alla carriera al Gran Premio Internazionale del Doppiaggio.