ESTRATTO DEL LIBRO
«La religione è più importante di Dio. Solo lei ci può salvare dal nichilismo, dal cinismo… mio, tuo… dalla vacuità che la sua perdita ci ha lasciato. Siamo, quasi tutti, disconnessi dalle tradizioni, dalla nostra storia. Solo la religione ci dava valori comuni, comuni riferimenti… questo delirio di libertà ci impedisce di capirlo… Per la miseria, Franco! Se avessimo tempo, ne avremmo di argomenti per un nuovo Mondo Cane… No, c’è tempo soltanto per fare testamento. Io l’ho fatto. E tu?»
«Come no!», la metto sullo scherzo. «Ho scritto che lascio alla terra tutti i minerali del mio corpo, quindici bei chili di carbonio e, in più, quattro chili di azoto, un chilo di calcio, mezzo chilo di zolfo, mezzo chilo di fosforo, due etti di sodio, un etto e mezzo di potassio…»
«Fai bene a scherzare. Almeno tu, per favore, non fare come gli altri. Nei loro occhi ci leggo una curiosità morbosa, vogliono vedere cosa prova a crepare uno come me.»
«Ci risiamo?»
«Non mi contraddire, lo sai anche tu che la parte più importante di una storia è la conclusione. Nessuno legge un libro per sapere cosa racconta nel mezzo. E la conclusione della vita, è la morte. Lasciamela raccontare come si deve. Io sto al gioco. Mi vesto del coraggio che loro si aspettano che io debba avere in questi momenti. In realtà vivo con un senso di sconfitta, di perdita…»
«Perdita? E di che? Del passato? Se è il passato che perdi, che vuoi che valore abbia la perdita. Del futuro? Come puoi perdere una cosa che non esiste ancora?»
«Socrate?»
«Epicuro, credo.»
«Chissà se anche lui ebbe paura mentre si preparava ad andarsene. Il coraggio ti lascia quando non c’è più nemmeno la speranza a nutrirlo. A me la fine suscita rabbia più che paura. Perché dovrei avere paura? La morte è sempre con noi: ce la portiamo appresso da quando nasciamo… No, sto mentendo, ho paura invece! Cosa ne dice Amleto? Dài, tu che hai una memoria che ti ho sempre invidiato, te lo ricordi?»
«Credo di sì… ‘La paura del viaggio in quel territorio dai cui confini nessuno torna indietro – recito – ci rende vili e ci spinge ad accettare i malanni che già conosciamo, piuttosto che accettarne altri di cui non conosciamo nulla’.»
«Shakespeare, Epicuro: siamo in vena di cultura. Se avessi vissuto nella Grecia di Sofocle chissà se sarei stato il soggetto di una tragedia. Se sì, avrebbero portato sul palcoscenico il coro dei miei detrattori, una mia vecchia fiamma che avrebbe interpretato la parte della Moira inesorabile e le altre mie donne, ora sicuramente diventate laide e brutte, nel ruolo delle Parche, intente a filare il mio destino. Per rimanere in tema, ti cito Tertulliano che, come cristiano, era un maledetto fetente. È stato lui a inventarsi un inferno dove i diavoli infilano forconi infuocati nel sedere dei peccatori… Questo maledetto dolore che provo all’anca dev’essere un anticipo dei futuribili colpi di forcone…»
«Vuoi riposare un poco? Vuoi che chiami qualcuno?»
«No, no. Il dolore mi suscita più rabbia che altro. Mi spinge a mandare al diavolo tutti gli dei dell’Olimpo.» (Se avesse obbedito al lessico contemporaneo, non li avrebbe mandati al diavolo, ma affanculo. Non ci si crederà, ma in tutti gli anni in cui siamo stati insieme, non ho mai sentito Gualtiero usare un termine volgare). «Che altro potrei fare se non bestemmiarli? Il mio tempo è finito, se lo stanno prendendo loro… Dio, Franco! Che magone… È dura, sai? È così dura…
Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio. Il cinema, la memoria, la morte: l’ultima conversazione con Gualtiero Jacopetti di Franco Prosperi e Stefano Loparco (Il Foglio).