Un uomo, ormai avanti con l’età, riceve una telefonata che non si aspetta, o forse sì. Un suo vecchio amico, con cui ha condiviso lavoro, successi, gloria e amicizia sta per morire in un letto d’ospedale. L’amicizia si è interrotta in un tempo ormai lontano per quei motivi, forse futili, che sovente condizionano l’esistenza relegando e rinchiudendo ricordi e affetti in un cassetto. Ma la chiave per aprirlo non è stata buttata via. È soltanto riposta in un conosciuto nascondiglio dell’anima. L’uomo non esita. Potrebbe farlo. Ignorare la telefonata, nascondendosi anche lui come ha nascosto la chiave. Non esita, sale su un treno, va a Roma per incontrare l’amico, forse neppure sapendo cosa dirgli. La vita toglie, la vita dà. Trattiene lacrime, scatena pensieri. suggerisce ironie. Vaga nel tempo perduto ma presente che prova a riabbracciare. L’uomo che va a Roma si chiama Franco Prosperi. Quello che sta morendo Gualtiero Jacopetti.
Un piccolo libro, per dimensioni (sono appena settanta pagine), ma immenso per contenuti. Che resta dentro al cuore di chi lo leggerà. Prosperi racconta con ispirata, pudica, rassegnata ma tenace consapevolezza la fine di una vita. Ma anche l’inizio di qualcosa che continuerà perché c’è sempre stato. Non si muore tra le rovine del tempio, si passeggia. Un racconto struggente, che Prosperi scrive magistralmente con la collaborazione di Stefano Loparco, già alle prese con Jacopetti nell’imprescindibile Graffi sul mondo (entrambi pubblicati da Il Foglio di Gordiano Lupi). Leggetelo, come ho fatto io quando ancora non era libro.
Grazie, Franco. Grazie, Gualtiero. Grazie, Stefano.
Roberto Poppi