
Si fa presto a dire Morgan Lost, il profiler e cacciatore di taglie ultimo nato della Sergio Bonelli Editore. Risoluto ma inquieto, così umano, Morgan. Corpo asciutto, chioma randagia e nervi aggrovigliati. Daltonico, cinefilo e insonne epperò intrigante come un Mickey Rourke d’annata – anche per via di quella che una maschera, ahilui, non è –, arguto quanto Hercule Poirot, dannunziano. Ma c’è di più nell’ultima visione di Claudio Chiaverotti – una scrittura che piacerebbe a Ernesto Gastaldi e una straordinaria rassomiglianza con il maledetto, Klaus Kinski – e la sua factory di penne mirabolanti (tra gli altri Giovanni Talami, Val Romeo, Lola Airaghi, Michele Rubini, Cristiano Spadavecchia, Andrea Fattori, Giovanni Freghieri, Alessandro Pastrovicchio, Giuseppe Liotti e, primus inter pares, Alessandro Poli). C’è tutto un mondo che ruota intorno. Ed è quello di New Heliopolis, evoluzione della città utopica che prima dei fotogrammi di Metropolis (1927) e le tavole primo novecentesche del grande architetto Antonio Sant’Elia, semplicemente non è.


Ecco, mi pare che Morgan Lost sia soprattutto il suo mondo fisico. Quel sistema di oggetti e cose sociali, pre-psicoanalitico e urbano, retrodatato agli anni Cinquanta di un XX° secolo mai sorto. Art déco, secondo i dettami poi rimodellati dalla creatività degli autori. I simulacri egizi, i grattacieli, i neon, i maxi schermo. E poi: i dirigibili, le metropolitane sopraelevate e la splendida Phantom Corsair, un bolide dalla scocca allisciata quanto la buccia di una mela, con grandi fari bianchi, vetri anneriti e ruote a scomparsa. Un paesaggio di raffinata bellezza e in continuo movimento, come lancette di un orologio. «La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità» – scriveva nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti nel suo Manifesto primigenio. Così, nella città utopica e ucronica di Lost, tutto scorre. E par di vederlo il poeta futurista, gongolare con l’albo di Morgan tra le mani e i tututump, vrrrrrrrrrr, slash, tik tik tik, weee wooooo weee woooo che lì s’annidano, come boccioli irriverenti delle sue parole in libertà.

Mi persuado che la modernità di Morgan Lost stia nel funzionamento del TUTTO sulle PARTI: interconnessioni (indizio+memoria+profiling), rumore d’ambiente (cigolii+suoni ferragliosi+ticchettii), visioni multioculari (nevicata+dirigibile+omicidio). Ma mentre gli aerogetti solcano il cielo, i convogli avanzano e la città si fa teatro dei più orridi delitti, cade la neve. E quando nevica il mondo torna bambino. Chiaverotti lo sa bene. Perché la vita sa essere carogna ma – come ha mostrato Frank Capra – un fiocco di neve è nel segno della rinascita, sempre.

C’è tutto per una proposizione metafisica di Morgan Lost. E c’è troppo. I serial killer, gli omicidi, gli antagonisti (supremi, gli ancestrali coniugi Rabbit), valgono bene il prezzo dell’albo. E’ doveroso che ci siano – si dice -, e ci sono. Eppure il fumetto potrebbe farne a meno. Si potrebbe attingere alla tragica biografia del protagonista tatuato – la sua storia di vita – attraverso la potenza dell’immagine. Come nelle fotografie di Gabriele Croppi, Lost potrebbe starsene solo soletto, rigato dalle ombre, sullo sfondo della città futuribile, che anche così – prima o poi – qualcuno griderebbe alla meraviglia, proprio come davanti a un qualsiasi scatto del fotografo lombardo.

Immagino un numero di Morgan Lost costruito sull’attesa. Non è facile. Non lo è stato per l’inoggettivabile Gian Maria Volonté che ha trascorso gli ultimi anni della sua parabola terrena crucciandosi di non sapere raccontare il vento come avrebbe voluto. Poi è morto. E nessuno ha più pensato di farlo. Insomma, immagino un’edizione coraggiosa e silente – ne scorgo le avvisaglie nelle copertine gravide di presagio di Fabrizio De Tommaso – ma che si arroghi il diritto di terminare la foliazione al primo cenno di un qualsiasi evento-azione. I riferimenti ci sono: L’attesa (1918) di Felice Casorati, Le muse inquietanti (1916-1918) di Giorgio De Chirico, L’eclisse (1962) di Michelangelo Antonioni. Immagino un albo fatto di tavole mute; campi totali, piani sequenza, dettagli, prospettive e punti di fuga come in un film di Sorrentino. Un festival delle linee e della socio-cibernetica che celebri la definitiva scomparsa dell’elemento umano dalla società-mondo. Con Morgan Lost, al termine del suo viaggio nella notte, davanti a un mare di colpa mentre tutto intorno la città – aliena e inattingibile – funziona meravigliosamente. Nell’ora dell’Apocalisse.
Cade la neve.
Stefano Loparco