Corrado Roi, Ut e l’intervista impossibile

Cattura

4399-67-come davanti a un film di Tarkovsky, una tela di Burri, un verso di Giuliano Piazzi: astratto. Ut è Solaris, un cretto, Il principe di Casador. Utcome la particella elementare della lingua latina («Do ut des»), come la nota del pentagramma medioevale («Ut queant laxis»), come il pronome riflesso, ‘tu’. Dunque Ut (2016) di Corrado Roi e Paola Barbato; un’opera «magistrale», «enorme», un «capolavoro» – ha scritto la critica. Eppure – ha chiosato – «ostica», «criptica» e «inafferrabile», lasciando i propri lettori in balia di un Ohhhh tra l’incanto e lo sgomento, semmai teorizzando – è accaduto anche questo – l’impossibilità della recensione. E allora è la volta di Corrado Roi, classe 1958, maître à penser del fumetto italiano, colui che ha firmato il più enigmatico caso editoriale della Sergio Bonelli Editore. E che su Ut la pensa così:

«Al lettore spetta la responsabilità della comprensione. Io mi limito a raccontare storie. Ut fa genere a sè. Non è horror, non è fantastico, non è post-atomico. E’ un’opera di xenofiction». Dopo cita Borges, Fellini, Buñuel, Stoker, Allan Poe, il panteismo, l’esoterismo, la bioetica e la politica. Parla di concessioni edilizie, regolamenti e delibere comunali (è stato per anni assessore al turismo del comune di Laveno, alle pendici del Lago Maggiore, dove vive ed è nato «in casa», tiene a precisare). Poi torna al fumetto: «Non ho mai pensato di dover piacere, né di compiacere. Ut è quello che avevo da dire. E il pubblico – stando alle vendite – ci ha dato ragione».

ZERO

«E’ una mini-serie a fumetti in sei albi. Sì, ma cos’è Ut– gli domando.

«Ut è il tutto».

«E Decio?, Caligari?, le case? e il gattino Leopoldo?»

«Le parti».

«Ma Ut è anche la storia di un luogo inghiottito nel buio («il sole non ci vede, la luce è vaga […], malata» – recita la prima pagina della sceneggiatura n.d.a.) popolato da nuove specie antropomorfe. Una società post-umana e cannibale, divisa in classi: gli abitanti delle vie della Fame e del Costone, i filosofi, i Rud e i Talpini, con le loro peculiarità psico-sociologiche (la fame, l’alterigia, il pensiero, gli universi simbolici, la paura) assolvono a un preciso elemento di critica sociale?»

«Quello di Ut è un universo primordiale e disarmonico, più affine alla zoologia che al comportamentismo umano. Come nel regno animale, l’unica discriminante è tra la vita e la morte. Ma la stratificazione in classi sottostà a una funzione drammaturgica non necessariamente politica, semmai sono le case a regolare la dinamica degli eventi e il senso del fumetto».

«Le case organiche? Che ‘vivono’ e si ‘autoregolano’, ‘vedono tutto’, ‘ricordano’ e ‘mostrano le paure’? Quella di Hog? E di Caligari, Decio e Gau? Le stesse che hanno dato origine a Iranon e Iv?»

«Si, quelle degli architetti genetici da cui tutto ha inizio: originali e copie».

«… troppo difficile… partiamo da Ut…»

«E’ un pinocchio post-umano, un bambinone incauto, violento quando serve, intellettivamente modesto. Volevo che il lettore non s’identificasse in lui e gli ho messo la maschera. Non è un modello, non va imitato. Ma ci si può fidare. Decio lo sa. E lo spedisce alla mastaba, dove è rinchiuso Iranon, l’immemore. E’ l’inizio di un lungo cammino verso la fonte battesimale. E’ l’inizio di un viaggio favolistico verso il principio».

TRE

«Eppure Ut è anche colui che ‘prova a contare le stelle’; finalmente una scheggia di luce in tanto disincanto».

«Sì, ed è sempre lui a prendersi cura di Leopoldo, il gatto, dunque a evolvere grazie a un sentimento tipicamente umano com’è l’affetto. Più di ogni altro personaggio del fumetto, Ut è un essere-in-relazione. Ed è proprio grazie al legame con Leopoldo che Ut approda a uno stato ulteriore di coscienza che, paradossalmente, finirà per porlo contro la vita».

«Anche Iranon»

«Si, ma quello di Iranon è un processo esplorativo-conoscitivo che muove da un dubbio esistenziale. Ut no. ‘Conosce’ per accudire il gatto. Insomma, evolve attraverso l’amore».

«Corrado, rifuggi a una lettura politicizzante di Ut ma le tavole allegoriche del cancello (l’opera di Labieno su cui si staglia un nugolo informe di persone ‘lacooticamente intrecciate’, massificate nel pensiero e nello spazio n.d.a.), il grido notturno delle stele quale ‘reazione collettiva agli eventi a cui assistono impotenti’, il ruolo dei filosofi nel Periekon e la loro ossessione per il pensiero unico e la memoria condivisa, rimandano se non alle teorie novecentesche di Adorno e Marcuse, a un criticismo che sembra agognare il ritorno del soggetto nell’azione sociale. Anche la figura dolente di Mizart e il suo tentativo fallimentare di fuga dal cancello (la stessa Barbato parla di un «desiderio di libertà destinato a rimanere frustrato» n.d.a.), pare collocarsi sul piano metaforico dell’uomo-massa con le sue involuzioni nel gregarismo e la deindividuazione, da cui la negazione – che mi pare le tavole denuncino – di una qualsiasi forma di emancipazione dell’uomo contemporaneo dal corpo sociale».

«Può essere. Secondo la tradizione panteista l’universo è l’unità del tutto. Tutto si tiene insieme. Inevitabilmente Ut afferisce al mio modo di osservare la realtà – che è fortemente politico –, pur facendo io nella vita largo ricorso a quella stessa ironia che credo di aver riversato nella tavole. Perciò alcuni personaggi sono così sfaccettati.  Come la figura di Caligari che, a dire il vero, rischia di essere mal interpretata. C’è chi l’ha messa sbrigativamente tra i ‘cattivi’. Perché è supponente, iraconda, magmatica. Ma Caligari è a favore della vita, come Decio. Solo che intende perpetrarla ad ogni costo, anche attraverso la gestazione di copie e facendo ricorso ai cadaveri. Fuor di metafora è quanto fa la medicina col consenso della comunità scientifica. E se le questioni bioetiche si adattano al mutamento sociale, oggi l’innesto di parti di un cadavere in un corpo vivo è una pratica accettata. E chissà cos’altro potrà accadere in un futuro prossimo. Ma anche Caligari, come Labieno, il cancello e il Periekon – che affonda nel precetto platonico del governo dei filosofi –, sono solo ‘parti’. Ut va cercato nel ‘tutto’. E il ‘tutto’ sono le case».

QUATTRO

«Sì, ma prima una suggestione. Ut – la serie – è un continente allegorico che, mi pare, non sia stato ancora mappato. La stessa sceneggiatura tralascia la logica formale della spiegazione a favore di una costruzione circolare del racconto, lasciando il lettore ai suoi interrogativi…».

«Ut è un universo di segni cui va dato senso. Non credo nella funzione pedagogica del fumettista. E se c’è, non è la mia».

«Rimane il fatto che Ut non si spiega».

«Ut è un sistema complesso, nasce così. E’ debitore di un’intuizione giovanile – uno schizzo del futuro protagonista che all’epoca avevo immaginato senza maschera – che, nel tempo, si è sviluppata con le esperienze che mi hanno portato ad essere l’uomo adulto che sono oggi. Ma in fondo Ut è una commedia delle relazioni. Perciò ho evitato ogni possibile elemento di disturbo. Gli oggetti, la tecnologia, tutto è ridotto all’essenziale. Semmai è preponderante l’elemento psicologico ed anche il paesaggio – gli edifici, la natura, il clima – è risolto in chiave espressionista».

«E a chi ti accusa di aver eccessivamente concettualizzato la serie, cosa rispondi?»

«Dico che io stesso oggi conosco Ut più di quando l’ho creato, attraverso le domande dei lettori che mi hanno obbligato a un processo di discernimento e chiarezza. Durante i diciotto mesi della sua gestazione, grazie anche a Paola, sapevo di Ut quanto mi bastava per collocarlo nella storia e indurlo all’azione. Ma quando affronti il pubblico c’è bisogno di concretezza. E di argomentazioni convincenti. Sul lavoro sono più libero di sperimentare. Un esempio? Semplici dettagli che in Dylan Dog avrei risolto in una vignetta, occupano una tavola e mezza di Ut. Non è casuale. Ho inteso, così, destrutturare la convenzionale scansione del tempo, creando un effetto straniante ancora più marcato».

UNO

«Come in un film di Antonioni?»

«Come in un film di Fellini».

«Sentiremo ancora parlare di Ut?»

«Credo di si…».

«Quando?»

«Molto presto».

«Cos’è per te l’arte?»

«La libertà».

«Ti lusinga essere considerato un maestro?»

«Si, ma non vivo per questo».

«E i premi?»

«Non li cerco».

«Ora me lo puoi dire: cosa sono le case?»

«Il tutto».

«E cos’è il tutto?»

«La vita».

 

CORRADO
Corrado Roi nel suo studio

 

UT

Da un’idea di Corrado Roi

Disegni: Corrado Roi – sceneggiatura: Paola Barbato

1. Le vie della Fame

2. Le vie dei Mestieri

3. Le vie dei Pensieri

4. Gli uomini vanno, gli arrabbiati restano

5. Histeria

6. Iranon in Atem

Sergio Bonelli Editore, 2016

 

Corrado Roi è nato l’11 febbraio 1958 a Laveno Mombello (Varese). Disegnatore di chiara fama, è stato scelto per illustrare le tavole dell’albo-evento di Dylan Dog scritto da Dario Argento che uscirà nel 2018. Con Ut – tradotto in Francia dalle Edizioni Mosquito – è alla sua prima serie.

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