Trenta minuti di treno, dieci di bus e a piedi fino al foyer del Teatro Della Tosse, nel cuore della città vecchia: Andrea lavora lì dal 1997, da quando è a libro paga. Fa lo scenografo e il grafico. E il pendolare. Tratta Lavagna-Genova, quella che taglia la costiera ligure, andata e ritorno, due volte al dì. Storie di «chi torna a lavoro», cantava De André. Se non fosse che su quei convogli della Genova-Pisa, nell’andirivieni di un eclettico teatrante, ha preso vita un progetto – o almeno la sua idea – destinato ad attraversare i decenni. Era la metà degli anni Novanta e il fumetto di massa era Topolino, Dylan Dog e Tex. Vent’anni dopo le cose non sono cambiate. C’è Topolino, Dylan Dog e Tex e Andrea continua a prendere treni. C’è però che, fermata dopo fermata, quel progetto l’ha realizzato e il 26 ottobre 2016, grazie al sostegno della Erredi Grafiche Editoriali, è approdato in edicola Golem nell’inedito formato 14 x 20 (più di un pocket, meno di un bonellide). Poi è stata la volta di Revenant, Follia, Sirena e Troll; i capitoli di una esalogia dell’occulto che con Polvere – in uscita a settembre 2017 – chiude la prima stagione di The Professor, il fumetto di Andrea Corbetta.

«E adesso?»
«Prima lasciami dire che lavorare a The Professor è stata, ed è, un’esperienza entusiasmante – risponde Andrea. Mi riferisco alla grande passione e dedizione dei collaboratori, la loro voglia di mettersi in gioco, di esserci. Penso al gruppo originario – Andrea Cuneo e Carlo Martigli – e a chi, via via, ha condiviso quest’avventura difficile e bellissima. E i nomi sono quelli di Paolo D’Antonio, Giancarlo Marzano, Giulia Carla De Carlo, Cristiana Astori, Germano Giorgiani, Riccardo Innocenti, Francesco Mobili, Roberto Leoni e Corrado Artale. Può sembrare una frase fatta ma qui a The Professor, siamo una squadra molto affiatata».
«In prossimità della fine della stagione, qual è il tuo giudizio su The Professor?»
«Positivo. Non ho nulla da recriminare. Il contributo dei reparti – disegnatori e sceneggiatori – ha funzionato a dovere, le competenze messe in campo in ambito storico e narrativo, sono d’eccellenza. Col senno di poi, forse avrei snellito il primo numero che per molti potenziali lettori è stato il banco di prova del fumetto. Ma tutto sommato va bene così».
«Tutto sommato?»
«Insomma, errori ce ne sono stati, com’è nell’ordine naturale delle cose. Non sempre la passione riesce a sopperire alla mancanza di mestiere; che oggi abbiamo ma all’epoca, quando tutto è cominciato, no».
«Ad esempio?»
«The Professor è un marchio indipendente. Non avevamo – e non abbiamo – alle spalle un grande gruppo editoriale, né capitali ingenti. Eppure il fumetto ha conquistato uno zoccolo di lettori fedeli che quotidianamente, attraverso i social, ci dimostrano il loro affetto stimolandoci a migliorare. Ma senza accedere a una vera comunicazione di massa, non è pensabile raggiungere il largo pubblico. Mi riferisco alla stampa e l’emittenza nazionale, strumenti formidabili per stimolare la domanda ma totalmente al di fuori della nostra portata economica. Anche verso le fumetterie, se fossimo già stati ‘introdotti’ avremmo potuto fare di più e meglio, chissà? Ma insomma, il dado è tratto. Sapevamo a cosa andavamo incontro. Non era facile. Perciò mi sento di ringraziare l’editore, Diego Pizzighello (proprietario della Erredi Grafiche Editoriali di Genova n.d.a.), per la determinazione con cui ha appoggiato un progetto che, a dirla tutta, è un po’ folle…(ride)».
«Veniamo a Benjamin Love».
«Cosa posso dirti? E’ un’idea che accarezzavo da tempo, almeno dalla metà degli anni Novanta, da quando avevo realizzato le prime tavole di un personaggio che all’epoca si chiamava Van Helsing, ma aveva già le sembianze di Peter Cusching, quindi di Benjamin Love. In The Professor ho dato fondo a tutto il mio amore per l’horror-gotico e il mistery. I riferimenti sono: Edgar Allan Poe, H.P. Lovecraft, Arthur Conan Doyle, Bran Stoker, Mary Shelley ma anche i grandi capolavori cinematografici della Hammer, la serie tv Penny Dreadful e Dottor Who. Benjamin Love deve molto a tutti loro, anche se non gli fa difetto l’originalità: è ebreo e nonostante la consumata ironia, nasconde un passato tragico. Poi è arguto, raffinato ed educato alle buone maniere, come nella migliore tradizione della letteratura d’indagine anglosassone. Abbiamo avanzato una proposta d’intrattenimento non banale – qualcuno l’ha definita ‘colta’ – e citazionista. Ma l’elemento centrale del fumetto è il mistero».

«E le copertine?»
«Le ho realizzate io. Da subito mi sono proposto di coniugare l’aspetto stilistico a un’immagine dalla forte valenza universale. Ad esempio nel numero 3, Follia, ho ritratto un uomo col capo chino, in attesa della morte. L’idea è nata dopo aver visto le terribili immagini di alcuni ostaggi dell’Isis, sul punto di essere decapitati. Una visione raccapricciante, inconciliabile con la nostra coscienza di uomini democratici. Perciò la copertina, per come è stata realizzata – con l’uomo imbragato davanti all’entità scheletrica -, intendeva rappresentare il concetto stesso del male nella sua valenza simbolica e, fuor di metafora, nella sua dimensione contemporanea».
«Con il numero di settembre si chiude la serie in sei albi e, che io sappia, non sono state fatte anticipazioni sul futuro della testata. So che sei restio a parlarne, epperò il silenzio genera mostri…»
«Non sono restio, è che le cose sono in divenire. In questi giorni si deciderà del futuro di The Professor. Certo, se il numero in edicola dovesse andare oltre le aspettative – come ci auguriamo – sarebbe un segnale incoraggiante. Sai, oggi una nuova iniziativa editoriale ingaggia una lotta contro il tempo, dal suo esordio. Il lettore vuole capire subito se la serie gli piace o no. Prendere o lasciare. Io, invece, faccio parte di una generazione che sapeva aspettare. Incoraggiava gli esordienti, dava al personaggio il tempo di crescere. Dal nulla e senza un battage pubblicitario, The Professor si è confrontato con Bonelli e le grandi icone della nona arte e, tra mille difficoltà, si è ritagliata uno spazio frequentato da diverse migliaia di lettori che a ogni uscita corrono in edicola a comprarlo. Insomma, le potenzialità ci sono ma i costi di gestione rimangono elevati e, nel nostro caso, incontraibili poichè abbiamo economicizzato su tutto!»
«Ipotesi A. The Professor chiude…»
«Nel caso rimarrebbe un pizzico di amarezza. Non solo per la testata ma per il segnale in sé. La nostra è la storia di un piccolo gruppo di appassionati che hanno dato vita a un fumetto dal nulla. Con pochi soldi e tante idee. Ma se l’esperienza non avesse seguito, chi la imiterebbe?»
«Ipotesi B. The Professor continua…»
«Fammi dire che questa è l’ipotesi a cui sto lavorando. Anche perché con The Professor hanno potuto esprimersi alcune professionalità – e qui penso sopratutto ai disegnatori, alcuni giovanissimi – dal potenziale enorme. Sarebbe un vero peccato smembrare una tale fucina di talenti. Le idee non mancano e sono convinto che un protagonista del gotico come Benjamin Love troverà sempre un pubblico. Ma va informato. Più in generale la prosecuzione di The Professor starebbe a significare che c’è vita per il fumetto indipendente. E per i sogni…»
«Il ‘sassolino’, se c’è?»
«C’è. E si chiama imbarbarimento delle relazioni umane. Devi sapere che negli ultimi mesi ho anche fatto l’ufficio stampa di The Professor. Ciò mi ha portato un surplus straordinario di lavoro. Tra mail, Facebook e altri canali, ricevo decine e decine di contatti al giorno. Rispondo a tutti perché è giusto. Credo che l’autore debba sempre metterci la faccia per cui accetto le critiche e – è capitato – anche i colpi bassi. Eppure constato che le cose vanno diversamente. I social, poi, sono un gioco al massacro. Non sempre. Spesso. Va di moda lo sberleffo, la presa per i fondelli. La faziosità e l’odio. Ho letto commenti al vetriolo su ogni fronte: lettori e autori, gli uni contro gli altri armati, in difesa della propria supposta ragione. Lo dico sul serio: per me è inconcepibile. Che io abbia fatto il più grande fumetto italiano o no, resta il fatto che siamo persone. E nessuno si può arrogare il diritto di insultare o svilire le ragioni degli altri. La penso così».
«La pensi bene».
«Ora però è tardi, devo andare… Grazie per la chiacchierata…»
«Hai il treno?»
«Sì…»
«Per Genova?»
«Sì… ma come fai a saperlo?»

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