La voce del poeta: Franz Krauspenhaar recensisce ‘Graffi sul mondo’

graffi sul mondo sempre più cane‘Lo scrittore Stefano Loparco, già autore di un libro su Edwige Fenech come fenomeno di costume, ci consegna questo “Gualtiero Jacopetti, graffi sul mondo” (Edizioni Il Foglio, pagg 339, euro 16) che è davvero un volume che dice il più possibile con un approccio da studioso di cinema ma anche da, detto senza retorica, indagatore dell’animo umano. Una biografia per così dire letteraria ma al contempo un libro di consultazione pieno di notizie, di rimandi, un’opera complessa….. ‘Graffi sul mondo’ è un libro che si legge come un avvincente romanzo e ci spinge con forza nei territori del mito: giornalista, regista di film discussi, avventuriero nell’anima, sfortunato e perdente “di successo”, citando l’autobiografia di Albertazzi, Jacopetti viene servito con maestria e senso della misura da Stefano Loparco, dal quale ci aspettiamo nuovi “mondi personali”. C’è amore per il personaggio ma soprattutto amore per il cinema e la comunicazione in genere, e naturalmente per una letteratura del vero che documenta sempre con dati alla mano. Un lavoro complesso e sicuramente di difficile realizzazione, che ci restituisce la storia di Jacopetti come forse non era possibile fare in maniera più esaustiva….’

 

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L’analisi dell’antropologo: Roberto Carlo Deri e ‘Graffi sul mondo’

<<Se non sapete, tacete>>. Pier Paolo Pasolini
Avrei potuto scrivere questa… analisi, riflessione, studio, immersione nel libro di Stefano Loparco (il termine critica, affermo sempre e con convinzione, non mi piace poiché contiene in sé già l’idea di una negatività da cercare a tutti costi) già dopo la lettura di poche pagine, sempre aderente a quella verità assoluta di Londoniana memoria e all’onestà intellettuale eredità etica e morale di Pier Paolo Pasolini, ma lo avrei dichiarato, suscitando le solite critiche e polemiche di chi cerca di detrarre ciò che non riesce a comprendere o non conosce.
Non trattando di me o di una mia opera, ci tengo a mantenere un grande rispetto verso l’autore, la fatica per le lunghe ricerche, gli spostamenti dalla sua casa ai confini con la Slovenia per intervistare persone, vedere luoghi, accedere a documenti, fotografie, ricordi mnemonici, nostalgici e aneddotici… il rigoroso storicismo tedesco non pagherebbe per un lavoro su un uomo che ha lavorato duramente sul campo ma anche su suggestioni, Gualtiero Jacopietti, ovviamente.
“Francamente me ne infischio” Rhett Butler.
L’ho così terminato, con piacere, con calma, assaporandolo, sviscerandolo, tornando a rileggere un brano, sottolineandolo, compenetrandomi con il testo, cogliendone ogni sfumatura, voltandomi di scatto, talora, meravigliato che Stefano non fosse accanto a me a narrare e io a chiedere e richiedere.
Questo è l’unico modo per comprendere e interpretare un’opera, sia essa un libro, come in questo caso, un film o qualsiasi altra rappresentazione dell’animo umano, fondersi con essa per poi riemergere e abbandonarla per un po’, e riacquisire quella freddezza che non spezzi la capacità di analisi.
Molti di voi, spero, ricorderanno Carlos Castaneda, l’antropologo di origine messicana, in realtà statunitense, che negli Sessanta e Settanta descrisse le sue ricerche e gli incontri con uno Sciamano attraverso un’iniziazione e la trasformazione di lui stesso in un medicine-man. Criticato dal mondo accademico, non riconosciuta la sua innovativa forma di ricerca, forse personaggio inesistente o alter ego-pseudonimo di un qualche studioso in cerca di fama e diffusione di una nuova modalità di fare antropologia, la cosa poco importa. La ricerca partecipante sul campo è indispensabile ma se lo studioso si fonde con l’oggetto-soggetto della sua analisi e diviene come Castaneda uno sciamano, perde quel distacco necessario per rielaborare poi il “materiale” e operare l’interpretazione, passo fondamentale dopo l’osservazione iniziale.
Cosa c’entra Carlos Castaneda con “Graffi sul mondo”? Più di quanto sembri poiché Stefano ha agito come un “perfetto” antropologo, lavorando sul campo, osservando, raccogliendo una mole impressionante di materiale, scritto, vocale, fotografico e video, immergendosi nel suo lavoro ma riuscendo poi ad allontanarsi, a mantenere quella seppur lieve lontananza necessaria per non perdere la lucidità mentale dello studioso.
Non amo le definizioni, limitanti come le categorie di genere, ci sono debordazioni, valicamenti di confini, contaminazioni letterarie, e la letteratura nel senso più pieno del termine è sempre prioritaria come arte e forma espressiva e riesce, come in questo caso, a offrire una visione illuminata di una produzione filmica. Non è quindi una recensione, forma di scrittura troppo legata a regole e a principi limitanti, decisi da un giornalismo “cinematografico” stereotipato, sintetizzato e lontano dalla crasi che Stefano Lo Parco è riuscito a creare: ottima scrittura, ricerca scientifica e antropologica assieme. Questo scritto è un’analisi profonda che non obbedisce a nessuna regola pre-imposta e la sua “narratività” andrà colta come la necessaria simbiosi del viaggio diacronico ed emozionale compiuto dall’autore.
“Non esistono libri morali o immorali. I libri o sono scritti bene o sono scritti male, ecco tutto”. Oscar Wilde.
“Graffi sul mondo” è scritto bene, molto bene, con una struttura compositiva ricca ed elaborata ma fruibile anche da un pubblico non specialistico. Cogliendo le sfumature mi accorgo che Stefano ha tutte le capacità per sviluppare uno stile di altissimo livello espressivo e linguistico; è stata una scelta armonica, la sua, giungere a un livello da non superare affinché un pubblico più vasto possibile possa accedere a questo racconto di arte e vita; dimostrazione di saper padroneggiare l’arte compositiva con particolare maestria, cosa sempre più rara nel deludente panorama letterario italiano dove troppi scrivono senza saperlo fare.
Qui nasce la differenza fra un dilettante, che scrive come fosse un diario scolastico da tenere nascosto (“Scrivo per me stesso”), e un professionista dotato di talento e conoscenza: un anelito interiore che, come la febbre reale e psichica di Michelangelo durante il meraviglioso affresco della Cappella Sistina (se qualcuno non si è perso nella contemplazione sino ai dolori cervicali per nutrirsene, non lo dica per pudore) fa affiorare un germe creativo incontenibile, ma scrive, deve farlo, anche per un pubblico il più vasto possibile.

Uno scrittore può definirsi tale se possiede talento e ha la capacità di elaborare un testo e compiere ricerche. In genere non mi piacciono i libri sul cinema, a parte poche eccezioni, soprattutto quelli italiani, perché scritti da appassionati o esperti che siano, con fare compilatorio, estensioni delle solite riviste di settore, con nozionismo informativo e nessuno o pochi approfondimenti, introspezione e soprattutto mancanza di quella capacità antropologica necessaria quando si espongono dimensioni del vivere.
“Graffi sul mondo” essenza e storia di un uomo singolare, Gualtiero Jacopetti, è una di queste poche, pochissime eccezioni.
“La moda è un tentativo di omologazione guidata.” Roberto C. Deri
Stefano ha trattato di un uomo particolare; Gualtiero Jacopetti era intelligente, colto, dinamico, sapeva muoversi in ambienti duri e difficili e le accuse di fascismo, maschilismo ed essere un conservatore, sono superflue e poco attente ai reali significati di questi termini e all’analisi del contesto.
Ecco perché l’autore è stato antropologo, perchè ha saputo interpretare il contesto culturale micro e macro, di un’epoca, quella della gioventù di Gualtiero, profondamente diversa dall’attuale e non può essere giudicata e compresa con parametri di riferimento contemporanei, ma soltanto aderendo al sentire proprio di quel momento storico-culturale e socio antropologico.
Jacopetti non era fascista, di certo non comunista in un periodo in cui esserlo riportava il pensiero al grigio estetico e morale della povertà imposta dal regime totalitario sovietico; era un uomo libero, atletico, energico che ha giocato col mondo della “Dolce Vita”, ma al tempo stesso ha saputo trascorrere, per piacere e non solo per lavoro, lunghi periodi in viaggi avventurosi in luoghi selvaggi vivendo spartanamente. Ed è proprio da queste esperienze, e dal quel 1962, rimasto impresso nelle menti di molte persone, quando scomparve in Nuova Guinea il ventiquattrenne Rockefeller durante le ricerche per la sua tesi di laurea in antropologia sull’antropofagia, che nacque il desiderio di creare un lavoro di letteratura visuale su argomenti scabrosi e poco conosciuti con un forma che potesse interessare il pubblico e avere successo.
Il cannibalismo è ben lontano dalle estreme, truculente e totalmente sbagliate visioni dei film del filone “cannibalesco” che hanno distorto la reale identità di tante etnie, riducendole a mostri sanguinari. Nulla di più lontano dalla realtà: a tutt’oggi non è mai stata dimostrata l’esistenza di un’antropofagia a carattere alimentare, bensì solo rituale.
Guardando con attenzione in particolare i primi lavori integrali di Jacopetti, Mondo cane, La donna nel mondo, le scene di cannibalismo aderiscono alla loro reale dimensione di ritualità.
Un po’ romanzate? Forse. Alcuni reportage veritieri? Assolutamente sì. Un tono talora spiritoso, altre volte teso alla suggestione del gusto dell’esotico? Sì, e allora? Mondo cane è del 1962, lontano anche dagli ottimi documentari di Bruno Vailati, contemporaneo ai primi di Folco Quilici, seri ma a volte noiosi. Conosco le opere di Vailati e Quilici e li stimo come professionisti, ma preferisco Vailati, in particolare il suo “Uomini e squali” del 1975. E non sto divagando, i raffronti e la comparazione sono elementi necessari in un’analisi.
Gualtiero Jacopetti, fu giornalista, anche di giornali commerciali, ancora negli anni Sessanta, pochi erano in grado di esserlo, si era pagati bene e si poteva girare il mondo, non c’è nulla di sbagliato in tutto questo, soltanto le accuse errate nei suoi confronti da parte degli intellettuali arroccati in fumosi cine-club e refrattari al sole e alla vita all’aria aperta. (Certo raffrontando la loro vita con lo squallore e la volgarità contemporanea, e la damnatio memoriae di geni della letteratura e del cinema a favore di personalità e opere mediocri quando non pessime, correrei a rintanarmi in quei cine-club).
Riesce a guadagnare bene, viaggiare e conoscere personalità, politiche, dello spettacolo, del mondo della cultura, gli vengono aperte le porte dei salotti letterari e il suo percorso cinematografico rimane unico perché non dirige mondo-movie, non inaugura un filone ma crea un sistema unico, personale ed originale di fare documentari dando attenzione al sensazionale per suscitare l’interesse del pubblico, conscio che questa miscellanea sia necessaria per diffondere il suo progetto e percorso.
Anche questa è una dimostrazione d’intelligenza e Stefano Lo Parco, ci illustra con minuzia l’impegno fisico e mentale che lui dedicherà alla realizzazione dei suoi lungometraggi. Un manciata di pellicole:
Mondo cane (1962)
La donna nel mondo, co-regia con Paolo Cavara e Franco Prosperi (1963)
Mondo cane 2 (1963)
Africa addio (1966)
Addio zio Tom (1971)
Mondo candido (1975)
Operazione ricchezza (1983)
Soddisfazioni e un dolore non compreso dai soliti mass media e dalla massa, (persa come sempre negli estremi mentali e culturali allora conditi di moralismo, perbenismo, quando non d’ipocrisia, oggi tesi a esaltare e osannare opere scadenti a scapito di un valore dimenticato o non evidenziato)…. 1961, un terribile incidente automobilistico stronca la vita di Belinda Lee; lui è alla guida dell’autoveicolo, lei, bellissima, ha solo 26 anni, lu 42 non è un’avventura ma una storia d’amore intensa e voluta.
Ma Gualtiero è un uomo forte, coraggioso, con una dignità inscalfibile, il suo dolore è lacerante, vissuto nel profondo del suo essere senza chiedere aiuti, pietà o dover dare giustificazioni.
E la sua indole viene tratteggiata negli interstizi con abilità da Stefano, illustrandone le luci e le ombre, i drammi e le gioie, il suo “infischiarsene” delle convenzioni sociali e delle regole fatte a beneficio di pochi, o di molti, ponendo sotto i riflettori la sua presunta incoerenza….
<<La coerenza è l’arte degli imbecilli>>. Oscar Wilde
Ovviamente la coerenza citata non riguarda la dignità e la statura morale che possono ergersi ben al di sopra di un “allineamento” dal sapore “aziendale”.
Fine prima parte.

La (vigorosa) recensione de ‘Il Corpo dei Settanta’ a cura di Sololibri.net

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‘C’è una raccomandazione che mi sento di farvi e di farvi da subito: mettetevi prima che potete sulle tracce de “Il corpo dei Settanta” (Edizioni Il Foglio). Il libro ha qualche anno (è stato pubblicato nel 2009) ma è uno di quei testi che gli appassionati di cinema di vecchio e nuovo corso non possono mancare. So che sono cose che si scrivono generalmente ma badate che dico sul serio: questo saggio di Stefano Loparco è tra i più significativi che mi sia capitato di leggere sul cinema popolare italiano e sul decennio di piombo, da un bel po’ di tempo a questa parte…. Il volume è poderoso – supera ampiamente le 300 pagine – non si fa mancare e non fa mancare nulla (compresa una miriade di foto da prurigine della Fenech), rivelando l’autore come una delle voci critiche più promettenti & divergenti della saggistica italiana non professorale. Per una volta lasciatemi scrivere vivaddio.’

 

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Le prime reazioni all’uscita di ‘Graffi sul mondo’

1926132_820695904610775_487821136_oA poche settimane dall’uscita nelle librerie di ‘Gualtiero Jacopetti – Graffi sul mondo’, una carrellata sulle prime reazioni ricevute dal libro.

«Gualtiero Jacopetti – Graffi sul Mondo» è un libro ricco di idee e materiali la cui ricerca, appare chiaro, non deve essere stata una passeggiata. C’è da complimentarsi per il palese sforzo di obiettività dell’autore nel trattare una materia non facile (sforzo mai vanificato da una altrettanto trasparente – e legittima – simpatia per il protagonista).
Carlo Gregoretti – giornalista, già inviato de l’Espresso e direttore di testate quali Epoca e Panorama

Tutta la mia ammirazione per l’accuratezza, la preparazione e la stesura di questo non facile libro, «Gualtiero Jacopetti – Graffi sul Mondo», che avrebbe potuto scontentare molti e che invece, son sicuro, avrà molto successo. E’ la biografia temporale e introspettiva su Gualtiero Jacopetti più completa e obbiettiva che abbia mai letto. Complimenti.
Giampaolo Lomi – regista cinematografico e documentarista

Una lettura che suscita curiosità e interesse; un racconto accurato frutto di un notevole lavoro di ricerca.
Gigi Oliviero – regista televisivo, figlio del compositore Nino Oliviero

Loparco più che un biografo è un appassionato, certosino archivista. Ha recuperato tutto (o quasi tutto) quanto scritto sul personaggio e ha legato i vari capitoli con buona prosa. Lasciando ai lettori non Jacopetti ma un bel pò di strumenti per capirlo.
Libero Quotidiano

«Gualtiero Jacopetti – Graffi sul Mondo» di Stefano Loparco è un ottimo volume che affronta la personalità, non semplice, di Jacopetti, con la scorta della misura nella scrittura, della filologia e del buon senso. Imponente l’apparato di documenti e testimoni. Voto: 5 su 5.
Nocturno Cinema

Amato. Odiato. Studiato. Ignorato. Un grande giornalista. Un volgare mistificatore. Un ironico dissacratore. Un fascista. Uno stupratore di minorenni. Un disperato romantico che si strappava i capelli per Belinda. Uno che ha cambiato il cinema. Uno che lo ha ucciso. Un uomo e un regista scomodo al potere. Chi? Gualtiero Jacopetti. Stefano Loparco ci racconta tutto di lui. «Gualtiero Jacopetti – Graffi sul Mondo» è un libro straordinario per scrittura (sublime) e documentazione inedita. Un libro che tutti devono leggere, non solo i cinefili. E che sento un po’ mio anche se non ci ho messo una sola virgola.
Roberto Poppi – storico del cinema

Ma un libro così bello, dannato e controcorrente, sarebbe mai saltato fuori dal catalogo di una ‘major’? La domanda è pleonastica: lunga vita alle piccole ma battagliere Edizioni Il Foglio e al fiore all’occhiello della collana ‘Cinema’.
SoloLibri.net (Mario Bonanno)

«Gualtiero Jacopetti – Graffi sul Mondo»: un libro straconsigliato.
Roberto Alfatti Appetiti – giornalista e scrittore

Con questo «Gualtiero Jacopetti – Graffi sul Mondo» (Edizioni Il Foglio, pp. 340, euro 16,00) Stefano Loparco ha realizzato una cosa che si attendeva da anni: raccontare, spiegare e restituire alla storia del cinema (e non solo) il contributo fondamentale di un intellettuale italiano del Novecento tra i più creativi e irregolari.
Luciano Lanna – giornalista e scrittore

«Gualtiero Jacopetti – Graffi sul Mondo» è un libro veramente ben fatto. E mi sento di raccomandarlo non solo agli appassionati di cinema, ma anche a chi si vuole cimentare nel difficile genere della biografia o, semplicemente, leggere un’ottima biografia. In primo luogo infatti Loparco fa emergere con accuratezza e meticolosità la figura di Jacopetti regista, facendo risaltare il lavoro di questo autore controverso, che ha un posto importante nella storia del cinema italiano. Allo stesso tempo, fin dalle prime pagine, Loparco, da fine osservatore, riesce a tratteggiare con grande sicurezza ed empatia il personaggio Jacopetti, che appare sempre molto vivo e presente nel corso del libro. Il tutto senza creare una biografia romanzata, ma attenendosi rigorosamente all’attualità e alle cronache. Mi permetto anche di dire che se c’è qualche produttore in ascolto, potrebbe prendere in considerazione di trasformare il libro di Loparco in un film.
Mario Gerosa – giornalista e scrittore

Allo scrittore piace il sentiero solitario, lo si è capito.
Gian Paolo Polesini – giornalista e critico cinematografico del Messaggero Veneto

‘Graffi sul mondo’ – Il pensiero di Luciano Lanna su Segnavia

‘Con questo Gualtiero Jacopetti – Graffi sul mondo (Edizioni Il Foglio, pp. 340, euro 16,00) Stefano Loparco ha realizzato una cosa che si attendeva da anni: raccontare, spiegare e restituire alla storia del cinema (e non solo) il contributo fondamentale di un intellettuale italiano del Novecento tra i più creativi e irregolari’.

Una stimolante riflessione a firma Luciano Lanna.

Giornalista e scrittore, già direttore del Secolo d’Italia.

 

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‘Graffi sul mondo’ sul Messaggero Veneto

Messaggero Veneto

L’inafferrabile Gualtiero Jacopetti imprigionato dentro il libro di Loparco

La storia inghiotte, ma lascia tracce. Non è mai un delitto perfetto. E certi uomini, che di segni ne hanno lasciati sin troppi, si fanno placcare, prima o poi. E altri uomini del futuro ostinati e di penna buona, si pigliano la briga di raccontare. Gualterio Jacopetti (1919 – 2011), straordinario artista davvero total – cinematografo, giornalismo, regia, documentari – scardina certi silenzi imposti e i più iniziano a temerlo. E Stefano Loparco, classe 1968, friulano (abita a Cormòns dopo un intenso pellegrinaggio italiano), con il vizio primario di scegliere bersagli, colpendoli infine, lo imprigiona. ‘Nessuno si era mai avventurato nell’universo jacopettiano, personaggio ai più scomodo, eppure perfetto per scriverci attorno qualcosa’. Eco qui. Graffi sul mondo (Edizioni Il Foglio), oltre trecento pagine e una notevole collezione di foto rare. Tanto per inquadrare l’artista: lui firmò, assieme a Franco Prosperi, Mondo cane, un docu-film che fece epoca, capostitpite di un filone sensazionalistico e crudele. ‘Incassò miliardi in tutto il globo terraqueo per la gioia massima di Angelo Rizzoli che lo produsse’, spiega Loparco. ‘Ci vorrebbe una giornata intera per selezionare una vita così, all’arrembaggio coma la sua; ho cercato di raccogliere in tre anni di paziente ricerca eventi dirompenti e pure quelli all’apparenza meno intriganti, ricostruendo così, attraverso le imprese, uno spaccato italiano’. Stefano subisce il fascino dei Settanta. ‘Amo il cinema di quel decennio e m’incuriosisce ciò che dentro s’agivata’. E anche nella sua opera prima, l’autore scannerizza una delle attrici culto dell’epoca, quella Edwige Fenech, prima del suo scavo, mai finita sulle pagine patinate di un libro (Il corpo dei Settanta). Allo scrittore piace il sentiero solitario, lo si è capito. Dunque, Jacopetti. ‘Lo si potrebbe serenamente definire un iconoclasta, attaccava la cultura dominante, provocava. Diresse il settimanale Cronache, sorretto dalla fiducia di Indro Montanelli e senza farsi plagiare dal lecito. E il passo successivo, sulle ceneri del defunto prodotto, fu la nascita de l’Espresso. Persino Fellini notò quel piglio anticonformista. ‘Si dice che il pesonaggio di Marcello Rubini, che Mastroianni interpretò ne La dolce vita, fosse una somatizzazione di Jacopetti’. Altro caposaldo registico del nostro eroe: Africa addio. Uno scioccante reportage sugli effetti della decolonizzazione. Come per Mondo cane, Gualtiero e compagni riuscirono a smuovere le coscienze dei cinque continenti. Il volume ha già un percorso stabilito. ‘Lo presenterò al Centro sperimentale di Roma e, con la collaborazione di Tatti Sanguineti, diventerà l’argomento di un servizio che andrà in onda su Iris.

 

Gian Paolo Polesini, Messaggero Veneto, 30 marzo 2014

Stefano Loparco e Gian Paolo Pelisini, critico cinematografico del Messaggero Veneto

Stefano Loparco e Gian Paolo Polesini, critico cinematografico del Messaggero Veneto

Recensione di Solo Libri

Recensione di Solo Libri

“Ma un libro così bello, dannato e controcorrente, sarebbe mai saltato fuori dal catalogo di una ‘major’? La domanda è pleonastica: lunga vita alle piccole ma battagliere Edizioni Il Foglio e al fiore all’occhiello della collana ‘Cinema’”.

La recensione di Solo Libri a firma Mario Bonanno

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