10 giugno 2014, Sala Trevi. Presentazione di ‘Graffi sul mondo’

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Nuove foto della serata di presentazione di ‘Graffi sul mondo’ nella Sala Trevi, a Roma, assieme al regista Giampaolo Lomi. Modera il dibattito lo scrittore Franco Grattarola. In giacca bianca, introduce la serata Domenico Monetti del Centro Sperimentale di Cinematografia. (foto Roberto Zanni)

Graffi sul mondo – una storia vera

gggg.BA6456 $_57gg600full-belinda-lee7 maggio 1961. L’arrivo a Ciampino del giornalista e regista Gualtiero Jacopetti – nella foto a sinistra con il padre Francesco -, un mese dopo l’incidente in cui ha perso la vita la compagna, l’attrice inglese Belinda Lee.
14 dicembre 1961. E’ il giorno del funerale italiano di Belinda, il secondo dopo quello di Los Angeles.
Sotto, un intenso ritratto di Belinda Lee.

Totalità, magazine on line di cultura politica, consiglia Graffi sul mondo

La rivista TOTALITA’ – Magazine On line di Cultura e Politica (il cui comitato direttivo è composta da Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani) consiglia ai propri lettori Gualtiero Jacopetti – Graffi sul mondo.

E io lo scrivo.

Totalità – Magazine on line di cultura e politica

Luigi Mascheroni (Il Giornale) consiglia Graffi sul mondo

Luigi Mascheroni (Il Giornale) consiglia Graffi sul mondo

24 giugno 2014. Nel giorno della débâcle per la nostra nazionale calcistica sconfitta per 1 – 0 contro l’Uruguay, un breve scambio di messaggi tra Luigi Mascheroni, giornalista e docente universitario e il critico Gian Paolo Serino. Non propriamente una recensione, ma un invito alla lettura genuino e disinteressato (non avendo il piacere di conoscere personalmente l’autore).

Graffi sul mondo approda su Sentieri Selvaggi

‘L’autore si muove abilmente attraverso la quantità sterminata di materiali su cui ha compiuto la sua ricerca conservando però un gusto per il racconto che dipinge l’avventurosa vita di Jacopetti come fosse un romanzo, tanto da confermare poi l’ipotesi che molti passaggi della sua vita siano solo abili ricostruzioni, un po’ come i suoi stessi film’.

Leggi la recensione su Sentieri Selvaggi

10 giugno, Roma, Cinema Trevi. Presentazione di ‘Graffi sul mondo’

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Nella foto, da sinistra: Franco Grattarola, Giampaolo Lomi e Stefano Loparco.

Martedì 10 giugno, alle ore 21.10, presso la Sala Trevi di Roma, nell’ambito della programmazione della Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia, è stato presentato il volume Gualtiero Jacopetti – Graffi sul mondo di Stefano Loparco. Una bella e inaspettata sorpresa; tra il pubblico, il noto critico cinematografico Tatti Sanguineti – autore, tra l’altro, di trasmissioni Mediaset e Iris – che si è complimentato con l’autore per la realizzazione di un libro che – stando a Domenico Monetti del Centro Sperimentale, che ha introdotto la serata – è da considerarsi uno dei migliori libri sul cinema dell’anno.

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Gualtiero Jacopetti – Graffi sul mondo’ è la prima biografia completa dedicata al giornalista e cineasta Gualtiero Jacopetti (1919 – 2011), autore di pellicole controverse quali Mondo cane (1962), Africa addio (1966) e Addio zio Tom (1971). Un figlio inquieto della provincia italiana, insofferente alle regole e refrattario alle mode. Il suo sguardo dissacrante ha divertito, offeso, indignato; i suoi film hanno diviso critica e pubblico, nazioni e parlamenti; la sua tecnica cinematografica ha aperto la strada a un nuovo modo di fare cinema, con proseliti e schiere di fan in tutto il mondo. Poi c’è la vita dell’uomo, le sue idee, il suo mondo. Come un cavaliere antico, Jacopetti è stato un uomo refrattario al compromesso, senza indulgenze né ripensamenti. Una sorta di Don Chisciotte del XX secolo. E come il cavaliere idealista di Miguel de Cervantes, il giornalista ha vissuto una vita ricca di avventure. Quasi sempre dal triste epilogo.

Introduzione di Roberto Curti e Alessio Di Rocco. Il testo contiene materiale inedito e le testimonianze di: Franco Prosperi, Carlo Gregoretti, Riz Ortolani, Katyna Ranieri, Giampaolo Lomi, Pietro Cavara, Gigi Oliviero, Umberto Jacopetti e Oliviero Toscani.

 
‘Gualtiero Jacopetti – Graffi sul mondo’, is the world’s first biography on the journalist and film-maker Gualtiero Jacopetti (1919 – 2011), the author of such controversial works as Mondo cane (1962), Africa addio (a.k.a. Africa Blood and Guts, 1966) and Addio zio Tom (a.k.a. Goodbye Uncle Tom, 1971). A restless son of the Italian province, impatient with the rules and refractory to the fashions. With his irreverent approach, he managed to amuse, insult and shock; his films divided the critics as well as the audience, not to mention entire nations and parliaments; his cinematic technique paved the way for a new way of making movies, and gained him proselytes and hordes of fans all over the world. But there is more than that: the man’s life, his ideas, his world. Like a cavalier of ancient times, Jacopetti was a man who did not accept any compromise, without any indulgence nor afterthought. A sort of Don Quixote of the 20th century. And just like Miguel de Cervantes’ idealistic hero, the journalist lived a life full of adventures—most of them with a sad epilogue. Introduction by Roberto Curti and Alessio Di Rocco. The volume contains unpublished material and testimonials from: Franco Prosperi, Carlo Gregoretti, Riz Ortolani, Katyna Ranieri, Giampaolo Lomi, Pietro Cavara, Gigi Oliviero, Umberto Jacopetti and Oliviero Toscani.

Gualtiero Jacopetti – Graffi sul mondo

un libro di Stefano Loparco

Isbn 9788876064760

Ed. Il Foglio letterario, coll. cinema.

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La voce del poeta: Franz Krauspenhaar recensisce ‘Graffi sul mondo’

graffi sul mondo sempre più cane‘Lo scrittore Stefano Loparco, già autore di un libro su Edwige Fenech come fenomeno di costume, ci consegna questo “Gualtiero Jacopetti, graffi sul mondo” (Edizioni Il Foglio, pagg 339, euro 16) che è davvero un volume che dice il più possibile con un approccio da studioso di cinema ma anche da, detto senza retorica, indagatore dell’animo umano. Una biografia per così dire letteraria ma al contempo un libro di consultazione pieno di notizie, di rimandi, un’opera complessa….. ‘Graffi sul mondo’ è un libro che si legge come un avvincente romanzo e ci spinge con forza nei territori del mito: giornalista, regista di film discussi, avventuriero nell’anima, sfortunato e perdente “di successo”, citando l’autobiografia di Albertazzi, Jacopetti viene servito con maestria e senso della misura da Stefano Loparco, dal quale ci aspettiamo nuovi “mondi personali”. C’è amore per il personaggio ma soprattutto amore per il cinema e la comunicazione in genere, e naturalmente per una letteratura del vero che documenta sempre con dati alla mano. Un lavoro complesso e sicuramente di difficile realizzazione, che ci restituisce la storia di Jacopetti come forse non era possibile fare in maniera più esaustiva….’

 

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L’analisi dell’antropologo: Roberto Carlo Deri e ‘Graffi sul mondo’

<<Se non sapete, tacete>>. Pier Paolo Pasolini
Avrei potuto scrivere questa… analisi, riflessione, studio, immersione nel libro di Stefano Loparco (il termine critica, affermo sempre e con convinzione, non mi piace poiché contiene in sé già l’idea di una negatività da cercare a tutti costi) già dopo la lettura di poche pagine, sempre aderente a quella verità assoluta di Londoniana memoria e all’onestà intellettuale eredità etica e morale di Pier Paolo Pasolini, ma lo avrei dichiarato, suscitando le solite critiche e polemiche di chi cerca di detrarre ciò che non riesce a comprendere o non conosce.
Non trattando di me o di una mia opera, ci tengo a mantenere un grande rispetto verso l’autore, la fatica per le lunghe ricerche, gli spostamenti dalla sua casa ai confini con la Slovenia per intervistare persone, vedere luoghi, accedere a documenti, fotografie, ricordi mnemonici, nostalgici e aneddotici… il rigoroso storicismo tedesco non pagherebbe per un lavoro su un uomo che ha lavorato duramente sul campo ma anche su suggestioni, Gualtiero Jacopietti, ovviamente.
“Francamente me ne infischio” Rhett Butler.
L’ho così terminato, con piacere, con calma, assaporandolo, sviscerandolo, tornando a rileggere un brano, sottolineandolo, compenetrandomi con il testo, cogliendone ogni sfumatura, voltandomi di scatto, talora, meravigliato che Stefano non fosse accanto a me a narrare e io a chiedere e richiedere.
Questo è l’unico modo per comprendere e interpretare un’opera, sia essa un libro, come in questo caso, un film o qualsiasi altra rappresentazione dell’animo umano, fondersi con essa per poi riemergere e abbandonarla per un po’, e riacquisire quella freddezza che non spezzi la capacità di analisi.
Molti di voi, spero, ricorderanno Carlos Castaneda, l’antropologo di origine messicana, in realtà statunitense, che negli Sessanta e Settanta descrisse le sue ricerche e gli incontri con uno Sciamano attraverso un’iniziazione e la trasformazione di lui stesso in un medicine-man. Criticato dal mondo accademico, non riconosciuta la sua innovativa forma di ricerca, forse personaggio inesistente o alter ego-pseudonimo di un qualche studioso in cerca di fama e diffusione di una nuova modalità di fare antropologia, la cosa poco importa. La ricerca partecipante sul campo è indispensabile ma se lo studioso si fonde con l’oggetto-soggetto della sua analisi e diviene come Castaneda uno sciamano, perde quel distacco necessario per rielaborare poi il “materiale” e operare l’interpretazione, passo fondamentale dopo l’osservazione iniziale.
Cosa c’entra Carlos Castaneda con “Graffi sul mondo”? Più di quanto sembri poiché Stefano ha agito come un “perfetto” antropologo, lavorando sul campo, osservando, raccogliendo una mole impressionante di materiale, scritto, vocale, fotografico e video, immergendosi nel suo lavoro ma riuscendo poi ad allontanarsi, a mantenere quella seppur lieve lontananza necessaria per non perdere la lucidità mentale dello studioso.
Non amo le definizioni, limitanti come le categorie di genere, ci sono debordazioni, valicamenti di confini, contaminazioni letterarie, e la letteratura nel senso più pieno del termine è sempre prioritaria come arte e forma espressiva e riesce, come in questo caso, a offrire una visione illuminata di una produzione filmica. Non è quindi una recensione, forma di scrittura troppo legata a regole e a principi limitanti, decisi da un giornalismo “cinematografico” stereotipato, sintetizzato e lontano dalla crasi che Stefano Lo Parco è riuscito a creare: ottima scrittura, ricerca scientifica e antropologica assieme. Questo scritto è un’analisi profonda che non obbedisce a nessuna regola pre-imposta e la sua “narratività” andrà colta come la necessaria simbiosi del viaggio diacronico ed emozionale compiuto dall’autore.
“Non esistono libri morali o immorali. I libri o sono scritti bene o sono scritti male, ecco tutto”. Oscar Wilde.
“Graffi sul mondo” è scritto bene, molto bene, con una struttura compositiva ricca ed elaborata ma fruibile anche da un pubblico non specialistico. Cogliendo le sfumature mi accorgo che Stefano ha tutte le capacità per sviluppare uno stile di altissimo livello espressivo e linguistico; è stata una scelta armonica, la sua, giungere a un livello da non superare affinché un pubblico più vasto possibile possa accedere a questo racconto di arte e vita; dimostrazione di saper padroneggiare l’arte compositiva con particolare maestria, cosa sempre più rara nel deludente panorama letterario italiano dove troppi scrivono senza saperlo fare.
Qui nasce la differenza fra un dilettante, che scrive come fosse un diario scolastico da tenere nascosto (“Scrivo per me stesso”), e un professionista dotato di talento e conoscenza: un anelito interiore che, come la febbre reale e psichica di Michelangelo durante il meraviglioso affresco della Cappella Sistina (se qualcuno non si è perso nella contemplazione sino ai dolori cervicali per nutrirsene, non lo dica per pudore) fa affiorare un germe creativo incontenibile, ma scrive, deve farlo, anche per un pubblico il più vasto possibile.

Uno scrittore può definirsi tale se possiede talento e ha la capacità di elaborare un testo e compiere ricerche. In genere non mi piacciono i libri sul cinema, a parte poche eccezioni, soprattutto quelli italiani, perché scritti da appassionati o esperti che siano, con fare compilatorio, estensioni delle solite riviste di settore, con nozionismo informativo e nessuno o pochi approfondimenti, introspezione e soprattutto mancanza di quella capacità antropologica necessaria quando si espongono dimensioni del vivere.
“Graffi sul mondo” essenza e storia di un uomo singolare, Gualtiero Jacopetti, è una di queste poche, pochissime eccezioni.
“La moda è un tentativo di omologazione guidata.” Roberto C. Deri
Stefano ha trattato di un uomo particolare; Gualtiero Jacopetti era intelligente, colto, dinamico, sapeva muoversi in ambienti duri e difficili e le accuse di fascismo, maschilismo ed essere un conservatore, sono superflue e poco attente ai reali significati di questi termini e all’analisi del contesto.
Ecco perché l’autore è stato antropologo, perchè ha saputo interpretare il contesto culturale micro e macro, di un’epoca, quella della gioventù di Gualtiero, profondamente diversa dall’attuale e non può essere giudicata e compresa con parametri di riferimento contemporanei, ma soltanto aderendo al sentire proprio di quel momento storico-culturale e socio antropologico.
Jacopetti non era fascista, di certo non comunista in un periodo in cui esserlo riportava il pensiero al grigio estetico e morale della povertà imposta dal regime totalitario sovietico; era un uomo libero, atletico, energico che ha giocato col mondo della “Dolce Vita”, ma al tempo stesso ha saputo trascorrere, per piacere e non solo per lavoro, lunghi periodi in viaggi avventurosi in luoghi selvaggi vivendo spartanamente. Ed è proprio da queste esperienze, e dal quel 1962, rimasto impresso nelle menti di molte persone, quando scomparve in Nuova Guinea il ventiquattrenne Rockefeller durante le ricerche per la sua tesi di laurea in antropologia sull’antropofagia, che nacque il desiderio di creare un lavoro di letteratura visuale su argomenti scabrosi e poco conosciuti con un forma che potesse interessare il pubblico e avere successo.
Il cannibalismo è ben lontano dalle estreme, truculente e totalmente sbagliate visioni dei film del filone “cannibalesco” che hanno distorto la reale identità di tante etnie, riducendole a mostri sanguinari. Nulla di più lontano dalla realtà: a tutt’oggi non è mai stata dimostrata l’esistenza di un’antropofagia a carattere alimentare, bensì solo rituale.
Guardando con attenzione in particolare i primi lavori integrali di Jacopetti, Mondo cane, La donna nel mondo, le scene di cannibalismo aderiscono alla loro reale dimensione di ritualità.
Un po’ romanzate? Forse. Alcuni reportage veritieri? Assolutamente sì. Un tono talora spiritoso, altre volte teso alla suggestione del gusto dell’esotico? Sì, e allora? Mondo cane è del 1962, lontano anche dagli ottimi documentari di Bruno Vailati, contemporaneo ai primi di Folco Quilici, seri ma a volte noiosi. Conosco le opere di Vailati e Quilici e li stimo come professionisti, ma preferisco Vailati, in particolare il suo “Uomini e squali” del 1975. E non sto divagando, i raffronti e la comparazione sono elementi necessari in un’analisi.
Gualtiero Jacopetti, fu giornalista, anche di giornali commerciali, ancora negli anni Sessanta, pochi erano in grado di esserlo, si era pagati bene e si poteva girare il mondo, non c’è nulla di sbagliato in tutto questo, soltanto le accuse errate nei suoi confronti da parte degli intellettuali arroccati in fumosi cine-club e refrattari al sole e alla vita all’aria aperta. (Certo raffrontando la loro vita con lo squallore e la volgarità contemporanea, e la damnatio memoriae di geni della letteratura e del cinema a favore di personalità e opere mediocri quando non pessime, correrei a rintanarmi in quei cine-club).
Riesce a guadagnare bene, viaggiare e conoscere personalità, politiche, dello spettacolo, del mondo della cultura, gli vengono aperte le porte dei salotti letterari e il suo percorso cinematografico rimane unico perché non dirige mondo-movie, non inaugura un filone ma crea un sistema unico, personale ed originale di fare documentari dando attenzione al sensazionale per suscitare l’interesse del pubblico, conscio che questa miscellanea sia necessaria per diffondere il suo progetto e percorso.
Anche questa è una dimostrazione d’intelligenza e Stefano Lo Parco, ci illustra con minuzia l’impegno fisico e mentale che lui dedicherà alla realizzazione dei suoi lungometraggi. Un manciata di pellicole:
Mondo cane (1962)
La donna nel mondo, co-regia con Paolo Cavara e Franco Prosperi (1963)
Mondo cane 2 (1963)
Africa addio (1966)
Addio zio Tom (1971)
Mondo candido (1975)
Operazione ricchezza (1983)
Soddisfazioni e un dolore non compreso dai soliti mass media e dalla massa, (persa come sempre negli estremi mentali e culturali allora conditi di moralismo, perbenismo, quando non d’ipocrisia, oggi tesi a esaltare e osannare opere scadenti a scapito di un valore dimenticato o non evidenziato)…. 1961, un terribile incidente automobilistico stronca la vita di Belinda Lee; lui è alla guida dell’autoveicolo, lei, bellissima, ha solo 26 anni, lu 42 non è un’avventura ma una storia d’amore intensa e voluta.
Ma Gualtiero è un uomo forte, coraggioso, con una dignità inscalfibile, il suo dolore è lacerante, vissuto nel profondo del suo essere senza chiedere aiuti, pietà o dover dare giustificazioni.
E la sua indole viene tratteggiata negli interstizi con abilità da Stefano, illustrandone le luci e le ombre, i drammi e le gioie, il suo “infischiarsene” delle convenzioni sociali e delle regole fatte a beneficio di pochi, o di molti, ponendo sotto i riflettori la sua presunta incoerenza….
<<La coerenza è l’arte degli imbecilli>>. Oscar Wilde
Ovviamente la coerenza citata non riguarda la dignità e la statura morale che possono ergersi ben al di sopra di un “allineamento” dal sapore “aziendale”.
Fine prima parte.